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Neith - la madre di tutti gli dei

Brano tratto da "La Dea delle origini", di Stefania Tosi, Uno editori, 2022.



L’Oceano Primordiale fu scosso da un fremito: la dea Neith prendeva coscienza di sé nel fluido ventre cosmico. Un sussulto, e la volontà della dea divenne idea e materia. Con le sembianze della Vacca Celeste partorì Ra, il sole. Se lo pose tra le corna assicurando la nascita dell’astro ogni giorno. I suoi occhi si accesero di luce ed essa rischiarò l’abisso informe da cui fece sorgere la terra di Kemet.


La luce si irraggiò ovunque e con essa, veicolo divino di creazione e prosperità, la vita. Dopodiché la dea pronunciò i nomi degli dèi e l’unione magica della voce e delle «medu necer»[1] diede loro vita.

Durante il periodo protodinastico, una dea fu oggetto di un culto profondo.


Veniva chiamata la «progenitrice degli dèi» ed era considerata l’Origine di ogni cosa.


La Grande Neith era una dea guerriera armata di arco e frecce e veniva invocata prima di scendere in battaglia contro i nemici. La Terribile Neith con la corona rossa del Basso Egitto precedeva il re in battaglia e insieme avrebbero conquistato la vittoria. Il suo culto decadde durante l’Antico Regno e per quasi duemila anni fu dimenticata, finché tra il VII e il VI secolo a.C. la dinastia saitica le riconobbe i fasti di un tempo.



A Sais, nuova capitale del regno, vennero eretti santuari in suo onore e la devozione verso la dea arcaica si fece più viva che mai. Lei, la guerriera e la patrona della tessitura, era adorata soprattutto in quanto demiurgo celeste: Neith raccoglieva in sé elementi sia maschili che femminili, pur venendo sempre raffigurata con chiare sembianze femminili.



Non si intendeva attribuire alla dea una natura ermafrodita, ma rendere evidente un principio cosmico basilare secondo cui la vita aveva avuto origine in una dimensione che comprendeva sia la natura femminile che quella maschile. Ad esempio, anche il dio Hapy, divinizzazione del fiume Nilo, veniva raffigurato come un uomo barbuto e con seno femminile poiché rappresentava il perfetto connubio del principio maschile (l’acqua) e del principio femminile (la terra) da cui nasceva il miracoloso evento rigenerativo della piena del Nilo.


Una concezione analoga la si ritrova nei miti indiani, dove:


«ogni divinità indù è associata a una parte femminile. Come tutti gli dèi sono aspetti dell’unica divinità suprema, così le loro componenti femminili lo sono della Dea Suprema: la combinazione della fonte energetica maschile, detta parusha, con la sua energia femminile, prakriti, ha dato origine al cosmo».[3]

Un testo del tempio tolemaico di Esna esalta così la natura androgina di Neith in qualità di demiurgo celeste:


«Tu sei la Signora di Sais;

Tanen, i cui due terzi sono maschili

E un terzo femminile;

Dea primordiale misteriosa e grande

Che cominciò all’inizio

E inaugurò ogni cosa».[4]

Le tradizioni neolitiche da cui Neith sorse si incastonarono nello spirito egizio e, in virtù della fluidità narrativa del mito, sopravvissero alle tempeste teologiche conservando la loro luminescenza. La “Signora del Cielo”, la “Madre degli dèi”, “Colei che genera Ra” sono solo alcuni degli epiteti più ricorrenti di Neith e successivamente riferiti anche ad altre importanti divinità femminili egizie a seguito del sincretismo religioso e della reminiscenza di ancestrali qualità del divino femminino.


Per quanto la religione egizia possa apparire incentrata sull’elemento maschile, a ben guardare essa è pervasa dalla forza del femminino che si offre in poliedrici aspetti. Difatti era principio teologico condiviso che la presenza dell’elemento femminile fosse complementare e necessario al mantenimento dell’Equilibrio cosmico; non a caso, anche nella fase patriarcale i grandi dèi avevano paredre con cui formavano triadi divine.


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[1] Le «medu Necer», ossia le parole di Dio, erano state create perfette dagli dèi e per questo possedevano un potere sia creativo che distruttivo. Si tratta della denominazione con cui ci si riferisce ai geroglifici, la scrittura sacra e magica che conteneva in sé potere divino. [2] Enciclopedia della Mitologia (a cura di) A. Cotterell, Gribaudo Parragon, Bath, 2006. [3] C. Jacq, Potere e sapienza nell’Antico Egitto, ECIG, Genova 1986, p. 81.

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