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LA PIRAMIDE DI HAWARA



Raggiungere il cuore di granito della piramide era tutt’altro che facile.


- Yalla, yalla!


La voce di Petrie risuonava nel cunicolo ma, nonostante il sorriso incoraggiante, si percepivano la fatica e l’ansia per la lenta esplorazione. Già l’apertura della piramide si era rivelata molto più complicata del previsto, infatti, Petrie aveva pensato che l’ingresso si trovasse sul lato nord, come era stato per altre piramidi e documentato da Belzoni, Mariette e Perring, tuttavia i tentativi fatti in quell’area si erano rivelati errati.



Tra l’altro, già altri avevano tentato di acceder all’interno della piramidi da quel lato senza riuscirvi, e ciò era dimostrato dagli squarci presenti sulla parete.


Gli effetti di tali maldestri lavori avevano deturpato in modo irrimediabile la struttura, già duramente saccheggiata del rivestimento esterno. Dopo molte ricerche Petrie individuò l’ingresso nella facciata sud e da quasi due mesi dirigeva personalmente lo scavo nel corpo roccioso della piramide di Hawara, antistante ai resti del Labirinto.



Il suono cadenzato dei picconi risuonava sinistro nel silenzio dell’oasi.

Ogni colpo rivelava sempre di più l’anima millenaria della struttura: Flinders e la sua squadra riuscivano ad avanzare circa un metro e mezzo al giorno, di più era impossibile per il caldo, per i detriti, per la fatica.


Mentre procedevano verso il centro della piramide, più di una volta si verificarono incidenti con caduta di materiale. Sino a quel momento avevano percorso un corridoio discendente tutto in calcare che sfociava in una camera da cui si diramavano un vicolo cieco e un passaggio verso est che, dopo una serie di svolte prima a nord e poi ad ovest, immetteva in una stanza scavata direttamente nella roccia.


Nel cuore di una notte di aprile, un membro della squadra di lavoro corse ad avvertire Petrie: “the stone is found!”.

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