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Il sepolcro egizio: "casa per l'eternità"

Perché per gli antichi Egizi era essenziale preparare in modo adeguato la propria sepoltura?


Rendi bella la tua posizione nell’Occidente,

[rendi] splendida la tua dimora nella città dei morti.

Grazie alla rettitudine e alla pratica della giustizia.»

Insegnamento di Merikara.


La tomba era un luogo fisico, sacro e magico, in cui si realizzava processo trasformativo che avrebbe reso il defunto uno spirito immortale. Per questo era detta “casa dell’eternità”. Soprattutto era la “macchina della resurrezione”.


Sin dall’Antico Regno i sacerdoti iniziati a Misteri sapevano come invocare le grandi forze che avrebbero compiuto il processo di rigenerazione e di trasformazione del faraone in entità divina. A tal fine, la tomba svolgeva un compito essenziale, in quanto luogo sacro e magico. Per tutto l’Antico Regno a beneficiare della vita eterna era solo il faraone e qualche fortunato da lui designato. Solo a partire dal Medio Regno l’accesso alla vita eterna subì un processo di democratizzazione.


Nella visione egizia, la morte faceva parte del ciclo di trasformazione che regolava la vita del creato ed era una legge cosmica ineludibile che prevedeva una trasfigurazione, da creatura mortale a spirito immortale. Per compiersi, però, erano indispensabili alcuni specifici accorgimenti che, come in una formula magica, avrebbero interagito tra di loro sia sul piano fisico sia metafisico, così da ottenere la rinascita spirituale.


Gli elementi fondamentali erano: la tomba, il sarcofago e la mummificazione.

La tomba: la scelta del luogo in cui realizzare una tomba reale spettava al visir e ai più importanti architetti del paese, solo in un secondo momento veniva confermata dal sovrano. Tuttavia l’ubicazione di ciascun sepolcro doveva restare un segreto e per questo non fu mai realizzato un registro o una planimetria che rendesse nota la posizione di ogni tomba. Ciò provocò nel corso degli anni incidenti di percorso. Dalla fine del Medio Regno, infatti, lo spazio in cui realizzare nuovi sepolcri era divenuto così scarso che gli scavi per la costruzione di una nuova tomba portarono a “scontrarsi” con una già esistente.



Tomba di Ramses III

Dopo un’attenta progettazione, si avviavano i lavori che avrebbero richiesto anni di duro lavoro da parte di numerose maestranze specializzate. Con fatica, tecnica e talento la grezza roccia sarebbe stata plasmata in un “veicolo” capace di condurre il defunto in una regione celeste inaccessibile ai vivi. Lo spirito del defunto, detto ka, naviga sulla barca sacra verso i Campi delle Offerte, mentre il dio Set libera il falco Horus e apre la via per il Cielo in cui verrà accolto da Ra, ricevendo gioia e pace per l’eternità[1].


Il faraone si assopiva nel sonno temporaneo della morte fisica per destarsi al termine del magico rituale e levarsi come akh tra gli dèi.

La dimora eterna assolveva alla funzione di «scala celeste[2]» affinché egli «potesse salire al cielo[3]».

Essa, quindi era particolarmente importante per la buona riuscita del destino ultraterreno del faraone: «la preparazione della tomba era un lavoro di squadra più che una catena di montaggio; mentre gli scavatori tagliavano grossolanamente la tomba gli altri operai seguivano da presso allineando e lisciando accuratamente le pareti e i soffitti con l’impiego di abrasivi a base di arenaria polverizzata e accertandosi che gli angoli e gli ingressi fossero squadrati. Dopo il passaggio degli operai, gli artigiani applicavano in primo luogo un fine strato di stucco sulle pareti, tracciavano le linee che ripartivano le superfici in pannelli e in registri, quindi disegnavano in inchiostro rosso i contorni delle figure e dei geroglifici da incidervi. I maestri d’arte e gli scribi usavano inchiostro nero per precisare le proporzioni delle figure o per correggere gli errori. Le scene figurate e le parti di testo venivano realizzate sia scolpendole in alto rilievo sia dipingendole sullo stucco. I pigmenti erano ottenuti con la mescolanza di diversi componenti minerali, come l’ocra gialla e rossa, i sali di rame blu e verdi, il carbone nero e il gesso bianco. […] Quando la tomba di un faraone era terminata, gli operai erano liberi di lavorare per altri progetti reali, o per scavare le tombe dei sacerdoti, o ancora per realizzare le proprie, scavate nei pressi del loro villaggio finché non fosse stato incoronato un nuovo sovrano e la sua tomba non venisse iniziata»[4].


sala del sarcofago di Tutankhamon


Per Ramses II[5], forse il più grande faraone della storia, Signore dell’Alto e del Basso Egitto dal 1279 a.C. al 1212 a.C., fu edificata una tomba monumentale identificata nella Valle dei Re come la KV7. In superficie ovviamente non si vedeva nulla, ma sotto il manto polveroso si snodano stanze per un totale di circa 900 m2 di superficie.


Da un ostrakon rinvenuto nel Ramesseo sappiamo che la tomba fu realizzata in dodici anni di lavoro[6]. Purtroppo non sapremo mai l’entità dei tesori che colmarono fino al soffitto le camere, poiché audaci ladri e ingiuriosi eventi naturali l’hanno letteralmente svuotata di tutto.

L’aura divina del fulvo sovrano[7] non è servita a tener a bada meschinità ed avidità di ogni genere.

Verso il X secolo a.C. i sacerdoti di Tebe decisero di traslare la mummia del grande re in quella del padre, presumibilmente per evitare altri oltraggi e che le spoglie mortali venissero distrusse. Se ciò fosse accaduto, infatti, la condizione ultraterrena del faraone ne avrebbe risentito.

Come vedremo, il corpo era un altro elemento indispensabile per la vita eterna.

Gli imprevisti del viaggio verso la nuova vita erano davvero molti. Per star tranquilli non bastava la tomba decorata con gli incantesimi. Infatti antemi, maledizioni e riti magici non poterono tenere lontane mani avide che arraffavano ori e argenti, che smembravano e distruggevano le spoglie terrene dei faraoni, delle regine e degli alti funzionari.


Il popolo egizio fu il primo e il più feroce saccheggiatore dei suoi stessi sovrani e per questo, come abbiamo visto nel capitolo precedente, ad un certo punto alcune delle spoglie reali vennero trasferite a Deir el-Bahari.

Nelle credenze religiose egizie, fin dall’antichità si era radicata la convinzione che gli spiriti dei defunti fossero inquieti perché ancora attratti e interessati a quanto avveniva nel mondo terreno in cui avevano il potere di mostrarsi; per questo andavano onorati e placati con costanti offerte e preghiere.


Il varco era la falsa porta, un elemento architettonico che compare all’interno delle tombe sin dall’Antico Regno, ma è probabile che si tratti di un retaggio simbolo ben più antico. Le false porte rappresentavano il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti e venivano posizionate sempre sulla parete ovest della tomba, poiché si credeva che a Occidente vi fosse l’aldilà su cui regnava il dio Osiride, denominato appunto il re degli Occidentali. Esse realizzate in pietra potevano essere attraversate solo dai defunti.


Tomba di Khnumhotep

La decorazione più comune prevedeva il motivo “a facciata a palazzo”, un tavolo per le offerte, il ritratto del defunto seduto accompagnata da una formula per le offerte, le quali venivano deposte con regolarità dai familiari o dai sacerdoti preposti, affinché il ka del defunto si potesse rigenerare. Se le offerte fossero scarseggiate, lo spirito de defunto poteva attingere il suo sostentamento dalle iscrizioni incise sulla falsa porta; tuttavia era sconsigliato lasciare gli spiriti senza i giusti tributi, poiché ciò ne avrebbe di certo provocato il risentimento.


Da Viaggio nell'Antico Egitto, Età dell'Acquario edizioni.


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[1] Libro dei Morti, cap. CX. [2] Pyr 267, 365 bis. [3] Pyr 267, 365 bis. [4]La Valle dei Re, a cura di K.R. Week, White Star, Vercelli 2001, pp.118-119. [5] Regnò per 67 anni e morì alla veneranda età di circa 90 anni. [6]La Valle dei Re, a cura di K.R. Week, White Star, Vercelli 2001. [7] Secondo alcune fonti, Ramses II era rosso di capelli.

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