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Al galoppo nei sogni della prateria


Il mito della Frontiera, la fame di terra e il diritto alla felicità sancito nell' atto di nascita degli Stati Uniti d'America hanno travolto il popolo dei Nativi. Loro sono divisi in numerose tribù e per millenni hanno abitato Great Turtle Island, l’Isola della Grande Tartaruga. Così chiamano l'America. E sul dorso generoso di foreste, fiumi, selvaggina i nativi americani vivono da sempre. L'arrivo degli europei lo sappiamo, cambiò tutto. Ruppe l'equilibrio millenario, travolse le tribù, divorò la pianura.

Il sacrosanto diritto alla felicità, così audacemente esposto nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776 e intriso di spirito illuminista, non era cosmopolita, né tollerante o aperto al dibattito culturale come amavano dire i pensatori illuminati. Il diritto alla felicità era bianco, europeo e maschile. Le donne e le altre minoranze ne erano semplicemente esclusi.


Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità.

Così dicevano, Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman mentre con l'inchiostro tracciavano i confini di un nuovo mondo che non prevedeva i nativi.


Sembra sempre di sentire la voce di Napoleon, il capo dei maiali:

Tutti gli animali sono uguali, ma c'è chi è più uguale degli altri.

Il progresso e le guerre indiane hanno irrimediabilmente modificato la vita delle tribù e oggi Lakota, Navajo, Irochesi, Mohawk, Cheyenne, Cree, Hopi e altri vivono nelle riserve afflitti da alcolismo e povertà. Lottano per riprendersi dalla fine del loro mondo, per conservare la loro identità, per adattarsi senza venir fagocitati dalla nuova America che, come con i parenti scomodi, li ha relegati là dove danno meno fastidio, dove non si vedono.


Intanto, la cultura dei nativi è diventata un fenomeno culturale globale. Superata la visione propagandista "tutta bianca" dei film western, dagli anni '70 è in atto una revenge culturale che tra saggi, pellicole e musica ha riscoperto e fatto comprendere la ricchezza della spiritualità dei nativi americani: il loro legame con Madre Terra, il sentirsi parte di un unico organismo vivente che abbraccia umani, animali e natura ha fatto breccia nel materialismo occidentale, assumendo talvolta caratteristiche meramente commerciali. Ma non importa. Avere un "acchiappasogni" vicino al letto o sulla scrivania ci fa sentire più vicini ai nativi, quasi compartecipi della loro sensibilità e altrettanto connessi con Madre Terra.



Ed è proprio per questo che la cultura dei nativi americani, affascina e conquista, perché rivela la verità semplice e preziosa: mitakuye oyasin, siamo tutti correlati. E noi occidentali, figli del Positivismo, cerchiamo ciò che sfugge alla ragione ma che emoziona lo spirito: la magia della comunione con il creato.


Alce Nero diceva:

…e mi trovai in cima alla più alta delle montagne e sotto di me vidi il Cerchio del mondo. In quel luogo vidi più di quel che posso raccontare e capii più di quel che vedevo, perché vedevo in maniera sacra la forma di tutte le cose così come debbono vivere insieme come un unico essere…


I Nativi odierni come quelli dei secoli passati non sono antropocentrici, non pongono l'essere umano al centro di tutto o sopra tutto; pensiamoci, noi siamo passeggeri su questo pianeta che un giorno completerà il suo ciclo e quando quel giorno arriverà, noi saremo già stati dimenticati. Di noi non resterà nulla, non saremo nulla se non coloro che, in un dato momento, provocarono un collasso del sistema. E se avvenisse l'apocalissi atomica dobbiamo sapere che la Terra si riprenderà e ci dimenticherà. Per fortuna.


Il retaggio ancestrale dei nativi sopravvive nonostante le riserve, l'oblio dell'alcol e gli episodi cruenti che hanno decretato la fine dello stile di vita delle tribù. E noi della Far West Gazette vogliamo raccontarvelo.

Da maggio 2022 è disponibile la rivista che tratta in modo documentato e storico il mito del West con i suoi personaggi, miti e grandi scoperte.


Nel numero 26 di luglio 2022 ho trattato del triste evento di Wounded Knee. Nel prossimo, che uscirà il 12 ottobre, parlo del mito di Donna Bisonte Bianco e delle sue connessioni con le condizioni di vita delle donne native e non solo.





Il 29 dicembre 1890 nella fredda riserva di Pine Ridge il Settimo cavalleria trucidò centinaia di Miniconjou, dei Lakota Sioux. E da allora niente è stato più lo stesso. I lustrini di Natale appesi nella chiesa dove vennero portati i pochi sopravvissuti e feriti stonavano quanto la scritta che augurava "Pace e amore su tutta la terra".


Ancora una volta sono le parole di Alce Nero, sciamano degli Oglala, testimone degli eventi di Wounded Knee ha restituirci il senso autentico dell'eccidio.

Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne e i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso vedere che con loro morì un'altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata, e rimase sepolta sotto la tormenta. Lassù morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno... il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l'albero sacro è morto.

Vi invito ad ascoltare la canzone di Hoka Hey, canzone di Davide Van de Sfroos.

Semplicemente bellissima.

"Ho visto il cielo diventare più scuro

il vento parlava con la voce dei tamburi

Ho visto il cielo diventare più scuro

il vento parlava con la voce dei tamburi

Gli Spiriti cantavano la canzone della paura

la gente urlava in fondo alla pianura

Gli Spiriti cantavano la canzone della paura

la gente urlava giù in fondo alla pianura.

Hoka Hey Hey…"







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