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Morire per il faraone: sacrifici umani nell'antico Egitto


È un momento sospeso, un silenzio denso che avvolge la necropoli di Abido. Il sole cala sul deserto, tingendo le dune di un rosso profondo. L'aria è ferma, carica di un'attesa solenne, quasi palpabile. All'interno del palazzo funerario, il corpo del Faraone giace in attesa, pronto per il suo ultimo viaggio. Ma il sovrano non viaggerà solo.

Nel cortile, un gruppo di persone si raduna. Non sono schiavi, ma l'élite di corte: i suoi servitori più fidati, i nobili, forse anche i fratelli e i figli di mogli secondarie, tutti nel fiore degli anni, sani e ben nutriti. Sanno cosa sta per accadere. Molti mostrano segni di un'accettazione mistica, una rassegna serena, convinti che la loro morte garantirà la vita eterna al loro sovrano e, di riflesso, anche a loro stessi. La speranza di una rinascita dopo la morte, un privilegio fino a quel momento riservato solo al Faraone, è la loro contropartita.

Il rituale ha inizio. Non c'è un'unica forma di morte, ma una varietà di metodi, tutti brutali. Si sente il suono sordo e terribile di un corpo contundente che colpisce un cranio, un attimo di buio che porta la vittima alla morte o all'incoscienza. Si intravedono gesti rapidi, un laccio stretto attorno a un collo, la violenza dello strangolamento che rompe le cellule ematiche e dipinge di rosa i denti. Per alcuni, il rituale ha un'ulteriore, agghiacciante fase: vengono posti nella loro tomba ancora coscienti, le mani a coprire la bocca in un ultimo, disperato tentativo di respirare prima che la sabbia e la pietra sigillino la loro fine.

Le grida, se ci sono, vengono assorbite dal deserto e dalla solennità del momento. Il rituale è veloce ed efficiente, un'ecatombe pianificata per garantire l'ordine nella successione e il successo nel regno dei morti. Mentre il sole scompare del tutto, lasciando solo le ombre, i corpi di centinaia di persone vengono deposti nelle piccole sepolture sussidiarie attorno alla tomba del loro signore. Ogni corpo è accompagnato da un corredo funebre, una testimonianza del loro status e della loro importanza.

Quando l'ultima tomba viene sigillata, il Faraone non è più solo. Il suo viaggio verso l'aldilà è ora accompagnato da un'intera corte, sacrificata per servirlo in eterno. Il silenzio torna a regnare, un silenzio tombale che nasconde il macabro prezzo che ha pagato la nascita di una delle più grandi civiltà della storia.




In onore dle faroane, per il suo viaggio celeste, verranno sacrificati giovani di alto rango.
il faraone sconfigge un nemico asiatico

L'immaginario collettivo ha spesso dipinto l'antico Egitto come una civiltà nata già raffinata, imbevuta di saggezza, circondata da misteri e dedita alla costruzione di magnifiche piramidi. Ma questa è una visione edulcorata, una fiaba storica che omette un capitolo fondamentale: l'Egitto, come ogni altra grande civiltà, non nacque civilizzato. Divenne tale, attraversando un percorso impervio, sanguinoso e brutale, un cammino per certi versi non dissimile da quello di altre culture come gli Aztechi, pur senza che vi fosse alcun contatto tra di loro.


Il mito di una civiltà pacifica crolla di fronte alle prove archeologiche. Molto prima che i faraoni costruissero il loro impero di pietra e sabbia, l'Egitto era un mosaico di piccoli regni in perenne conflitto. L'unificazione, che ha dato il via alla gloriosa I dinastia, fu il culmine di una serie di guerre feroci. L'iconografia dell'epoca non lascia spazio a dubbi: la celebre Tavolozza di Narmer non è una semplice opera d'arte, ma un manifesto della violenza regale. Il primo faraone non viene rappresentato in preghiera o con la corona in testa, ma mentre brandisce una mazza, pronto a colpire i nemici, e poi mentre ispeziona i loro cadaveri decapitati. Questa era la propaganda dell'epoca: il potere non si acquisiva con la benevolenza, ma si imponeva con la forza.


Tuttavia, è nelle necropoli che si nasconde il capitolo più agghiacciante di questa storia. Mentre in Mesopotamia, gli scavi di sir Leonard Wolley a Ur avevano già rivelato il sacrificio rituale di cortigiani per accompagnare i leader nell'aldilà, l'Egitto sembrava offrire un'immagine diversa.

Ma anche qui, la realtà è stata svelata ad Abido, nelle tombe dei primi faraoni. I loro successori non si limitarono a farsi seppellire in magnifiche camere, ma le circondarono di centinaia di piccole sepolture. All'interno non c'erano tesori, ma i corpi di uomini, donne, bambini e animali, sacrificati per servire il loro signore nell'aldilà. Basti pensare che per il faraone Djer furono immolate quasi 600 persone.


Chi erano dunque le anime destinate a questo macabro viaggio verso l'aldilà, i cui corpi giacevano in cerchio attorno alle tombe dei re della I dinastia? Non erano semplici servi o schiavi, come si potrebbe istintivamente immaginare. Le approfondite indagini condotte sui resti scheletrici hanno rivelato una verità ben più complessa e inquietante: la maggior parte di queste vittime era nel fiore dell'età, in perfetta salute e ben nutrita. Tutti indizi che puntano inequivocabilmente verso un'appartenenza all'élite di corte.

Come ogni altra civiltà, l'Egitto ha avuto la sua dose di orrori. I sacrifici, le mutilazioni dei nemici, la violenza brutale non erano eccezioni, ma strumenti per consolidare un potere che era nato nel sangue. I corpi ritrovati nelle sepolture sussidiarie non presentano segni di veleno, come si era creduto inizialmente, ma fratture craniche e tracce di strangolamento. Alcuni scheletri sono stati rinvenuti in posizioni che suggeriscono un ultimo, disperato tentativo di respirare, un indizio agghiacciante di una sepoltura da vivi.


I dinastia

Le cifre raccontano una storia di devozione e brutalità ineguagliabili. Per il faraone Aha, furono sacrificate quarantasette persone. Il suo successore, Djer, richiese un seguito ancora più vasto, con un numero impressionante di 587 sacrificati. Djet fu accompagnato da 328 corpi, mentre la regina madre Merneith da 120. Il rituale proseguì con Den (135), Anedjib (sessantatré) e Semerket (sessantanove). Con Qaa, l'ultimo re della dinastia, le morti scesero drasticamente, segnale forse di un potere ormai consolidato che non necessitava più di tali dimostrazioni estreme: furono ritrovate "solamente" ventisei vittime.



Abido, necropoli: qui avveniva il rituale di sacrificio.
Ipotesi di processione per il faraone defunto

Questa violenza rituale non era un segreto, ma un atto esposto. Due rilievi, risalenti ai regni di Aha e Djer, ci offrono una finestra spaventosa su questi eventi. In un'immagine rara e raccapricciante nell'arte egizia, viene immortalato il momento del sacrificio: un uomo inginocchiato, le braccia legate dietro la schiena, attende il suo destino. Di fronte a lui, un'altra figura, seduta, gli punta contro il petto un lungo e affilato coltello. Ai piedi del prigioniero, un recipiente è pronto a ricevere il suo sangue, trasformando l'omicidio in un rito solenne e programmatico. È la rappresentazione più cruda del prezzo pagato per l'eternità.


Le vittime dunque non erano insignificanti, ma figure di un certo rilievo nella società egizia dell'epoca. Il loro destino era quello di continuare a servire e riverire il faraone nell'oltretomba, così come avevano fatto in vita, garantendo al sovrano un'eterna corte nel suo regno ultraterreno.


Tuttavia, l'egittologa Kara Cooney avanza un'ipotesi ancora più fredda e calcolatrice. Dato l'altissimo numero di sacrificati, molti dei quali giovani e di sesso maschile, la Cooney suggerisce che questa ecatombe potesse avere un duplice scopo: non solo garantire una corte eterna al faraone, ma anche eliminare possibili problemi di successione al trono. Uccidere tutti i potenziali rivali, come i figli di mogli secondarie o i fratelli del re che avrebbero potuto rappresentare una minaccia per la stabilità dinastica, avrebbe eliminato definitivamente qualsiasi forma di dissenso o pretesa al potere. Come scrive la studiosa, con brutale franchezza, nella I dinastia «il nascente potere del re doveva essere nutrito con il sangue».


Da questa prospettiva, l'uccisione di tutti i potenziali rivali si configurava come un bene sia per i vivi che per i morti. Per i vivi, avrebbe garantito ordine e armonia nella successione, evitando faide e conflitti. Per i sacrificati, la contropartita era la vita eterna nell'aldilà, un privilegio immenso in un'epoca in cui, nei primi tempi della storia egizia, l'oltretomba era un'esclusiva del faraone e della sua famiglia. Tutti gli altri erano destinati a morire senza alcuna speranza di rinascita. La democratizzazione dell'aldilà, il suo divenire accessibile a tutti, sarebbe stata una conquista che avrebbe richiesto ancora molti secoli per realizzarsi.


Fortunatamente, questa orribile carneficina cessò. Con la II dinastia, la necropoli reale fu spostata a Saqqara e, con essa, finì anche il rituale dei sacrifici umani. Non fu per un improvviso risveglio etico o morale, ma per ragioni concrete e pragmatiche. Il potere del faraone era ormai consolidato e non aveva più bisogno di simili dimostrazioni estreme. Inoltre, uccidere gran parte della corte e dei funzionari di alto rango a ogni successione era diventato un enorme spreco di talenti e di preziose risorse umane, un lusso che il regno non poteva più permettersi.

La storia egizia ci insegna che nessuna civiltà nasce perfetta; la civiltà è un processo, non un punto di partenza, e il suo cammino è spesso segnato da tappe oscure e violente, che dobbiamo conoscere per comprendere veramente il prezzo della sua grandezza.

Quel sangue versato nelle sabbie di Abido rimane la testimonianza più cruda dell’inizio della civiltà faraonica: un trono costruito non solo con la pietra e con l’oro, ma con la vita stessa dei sudditi.


 
 
 

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