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Osiride, il dio che morì per farci rinascere.


Osireide, dio della vita e della morte
Osiride, Signore dell’Aldilà, custode del giudizio e della rinascita. Avvolto nel silenzio dell’eternità, il dio attende coloro che cercano la verità oltre la vita.

C’era un tempo in cui la morte non era fine, ma passaggio. Un tempo in cui la notte non faceva paura, perché prometteva l’alba. E in quel tempo remoto, lungo le rive del Nilo, quando il vento accarezzava i papiri e le stelle sembravano sussurrare segreti millenari, un dio silenzioso vegliava sui morti… e sui vivi. Il suo nome era Osiride.



Nel grande pantheon dell’Antico Egitto, Osiride non era solo una divinità della morte. Era molto di più. Era la promessa che anche ciò che si spezza può ricomporsi, che anche ciò che muore può rifiorire. Associato all'immortalità, Osiride era il dio defunto e rinato, il sovrano dell’aldilà che presiedeva al giudizio delle anime, ma anche il simbolo di un’eterna rigenerazione.

La sua figura affondava le radici nei misteri della vegetazione che si risveglia dopo il secco, del seme che marcisce per germogliare, della vita che si rinnova nel ciclo inarrestabile del tempo. Era il dio che moriva ogni anno, per tornare ogni anno. Era la linfa che scorre nella terra, invisibile ma viva.


Il dio che parlava al cuore del popolo

Tra le innumerevoli divinità egizie, Osiride era forse il più amato. La sua leggenda, drammatica e struggente, raccontava di amore e tradimento, di morte e vendetta, di distruzione e rinascita. E per questo parlava all’anima del popolo egiziano, che in lui vedeva la speranza di una vita oltre la vita.

Nel Libro dei Morti, antico testo funerario, Osiride viene celebrato come “il Gran Dio di Abydos, re dell’eternità e signore dell’eterno”. Le sue parole, scolpite nei papiri e nei templi, erano un faro per chi affrontava l’ignoto dell’aldilà. Il defunto, per accedere al regno eterno, doveva passare davanti a lui. E se il cuore era leggero, se la vita era stata giusta, allora Osiride apriva le porte della rinascita.

Egli era il dio che attraversava i mondi.


Ma anche gli dèi, come gli uomini, conoscono l’invidia.

Osiride era nato in modo miracoloso. Il dio del Sole, Ra, aveva proibito a Nut, sua figlia celeste, di partorire in qualunque giorno dell’anno. Ma Thot, il dio della sapienza, ingannò il tempo: vinse alla Luna cinque giorni extra – i giorni epagomeni – e proprio in uno di quei giorni nacque Osiride, l’Unennefer, il perfetto.

Fin da giovane, Osiride si fece portatore di civiltà. Insegnò agli uomini a coltivare la terra, a seminare il grano, a vivere secondo leggi giuste. Viaggiava per l’Egitto, diffondendo sapere e armonia. Intanto, la sua compagna e sorella, Iside, custodiva l’ordine domestico, attendendo il suo ritorno.

Ma non tutti amavano la luce che Osiride portava.

Seth, suo fratello, si consumava nel rancore. Non sopportava il favore che Osiride aveva presso dèi e uomini. E così, accecato dall’odio, tramò nell’ombra. Ordinò la costruzione di un sarcofago meraviglioso, scolpito in segreto a misura esatta del fratello. Poi, con la maschera della festa, organizzò un banchetto sontuoso.

Settanta invitati. Sorrisi finti. Parole d’oro e cuori di piombo.

Nel mezzo dei festeggiamenti, Seth propose un gioco: chiunque fosse riuscito a entrare perfettamente nel sarcofago, ne sarebbe diventato il proprietario. Gli ospiti provarono uno ad uno, ma la bara era sempre troppo grande o troppo stretta. Quando Osiride, ignaro, si sdraiò al suo interno… il coperchio calò di colpo. E la trappola si chiuse.

Seth e i suoi complici sigillarono il sarcofago e lo gettarono nel Nilo.

Fu così che la notte avvolse il dio della vita.

Il mito non finisce qui. Perché laddove c’è amore… ci sarà anche resurrezione.


Il sarcofago sigillato non affondò.

Gettato nel Nilo, scivolò tra i flutti, ma non fu inghiottito. Raggiunse il mare aperto, seguì le correnti, toccò le coste fenicie e si arenò a Byblos, vicino all’attuale Libano. La bara sacra, contenente il corpo del dio ucciso, fu accolta dalla terra straniera come un seme misterioso: un albero crebbe intorno a essa, abbracciandola col suo tronco.

Quando Iside venne a sapere dell’accaduto, non pianse. Gridò. Si strappò una ciocca di capelli, si vestì di lutto e partì. Il suo amore non conosceva confini, né paure. Vagò oltre l’Egitto, attraversò mari e terre straniere alla ricerca del suo sposo perduto.

Un giorno, il vento le portò un sussurro: un albero sacro era cresciuto attorno a una bara, e ora ne adornava il palazzo del re di Byblos. Iside si recò in città, si celò tra le serve del palazzo e, con pazienza e magia, riuscì a entrare nelle grazie della regina. Divenne nutrice dei suoi figli. Quando giunse il momento giusto, svelò la sua identità e chiese di riavere la colonna sacra.

Dentro quel tronco vi era ancora il corpo di Osiride.


La dea che sfidò la morte

Iside tornò in Egitto. Nascose le spoglie del marito a Buto, nel Delta del Nilo, ma Seth la scoprì. Accecato dall’odio, smembrò il corpo di Osiride in quattordici pezzi e li gettò nel fiume, disperdendoli in ogni angolo del paese.

Ma la dea non si arrese.

Ancora una volta si mise in viaggio, raccogliendo, uno a uno, i frammenti del corpo amato. Ogni pezzo era un dolore, ma anche un atto d’amore. Quando l’ultimo fu ritrovato, Iside, con l’aiuto di Anubi, ricompose il corpo e lo avvolse in bende sacre.

Poi accadde il miracolo.

Osiride, il dio smembrato, il re dei morti, tornò a vivere. Non per regnare di nuovo sulla terra, ma per assumere il trono dell’Oltretomba. Da allora, egli veglia sul mondo invisibile, giudica i cuori e guida i defunti nel viaggio eterno.

E ogni volta che un fiore spunta dalla sabbia, ogni volta che la luna rinasce, ogni volta che un cuore spezzato ritrova speranza, là c’è il sussurro di Osiride. Il dio che morì… per insegnarci a rinascere.


Quando Iside riuscì a raccogliere tutti i frammenti del corpo straziato di Osiride, ordinò che in ogni luogo del ritrovamento fosse eretto un santuario. Così, nei secoli a venire, l’Egitto si riempì di luoghi sacri che custodivano simbolicamente le membra del dio. Alcuni templi conservavano copie rituali per ingannare Seth. La vera sepoltura – o meglio, la più venerata – divenne quella di Abydos, il cuore spirituale del culto osiriaco.


Il seme della vita eterna

Ma il mito non si fermò alla morte.

Iside, aiutata da Anubi, ricompose il corpo dell’amato e diede vita al gesto più sacro della mitologia egizia: la resurrezione del dio. Usando parole magiche, spiriti protettori e rituali arcaici, restituì vita al suo sposo. Il momento fu carico di potenza cosmica. Una brezza divina attraversò il mondo… e Osiride si sollevò. Vivo. Fecondo.

Fu così che nacque Horus.

Iside, temendo nuove minacce da parte di Seth, si rifugiò in un’isola del delta del Nilo. Crescendo lontano dagli occhi del nemico, Horus fu allevato con incantesimi e cure, imparando l’arte della giustizia, del coraggio e della vendetta sacra. Quando giunse il tempo, il giovane dio affrontò l’usurpatore in una lunga guerra simbolica. I due si trasformarono in animali divini – falchi, ippopotami, serpenti – lottando nei cieli e tra le acque, fino alla vittoria finale di Horus.


L’eredità di Osiride

Osiride, però, non tornò sulla Terra. Il suo compito era ormai altrove: regnare nel Duat, l’aldilà. Divenne il Giudice supremo, colui che pesa i cuori dei defunti contro la piuma della verità. Nel suo regno, i giusti trovano pace, luce, eternità. Non un’ombra, ma una promessa.

Il mito di Osiride è molto più che una leggenda di morte. È un racconto di speranza. È la certezza che nulla finisce davvero. Che ogni fine può diventare un inizio, se c’è amore, giustizia, e il coraggio della rinascita.

E così, ancora oggi, quando l’inverno lascia spazio alla primavera, quando una perdita si trasforma in memoria viva, quando si sceglie la giustizia nonostante il dolore… il nome di Osiride torna a risuonare.

Perché Osiride non è solo un dio.È un archetipo.È il segreto nascosto nel cuore stesso della vita.



 
 
 

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