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Come immaginiamo Dio?



Anziano, saggio, pacato, gentile e con a cuore solo una cosa: la Salvezza dell’Umanità. Vive nell’Empireo, attorniato da angeli canterini e santi adoranti, pensa a noi e soffre per i nostri peccati. “Dio ci ama”, sentiamo ripetere spesso nei sermoni. Ci ama talmente tanto che ci lascia liberi di compiere il male, poiché solo così possiamo compiere il nostro cammino di redenzione.


Ebbene, questo è il dio immaginato e propagandato dalla dottrina cattolica, ma non è Yahweh.

Yahweh, il dio protagonista dei racconti dell’Antico Testamento è un’altra cosa, non è un’entità spirituale, anzi ha un carattere violento, irascibile e vendicativo. Brama una terra occupata da altre popolazioni (Moabiti, Edomiti, Amaleciti, ecc.) e decide di ingaggiare una lotta spietata per conquistarla. Il suo epiteto più ricorrente non è “buono” o “generoso”, ma Sebaot o “Signore degli eserciti”. Riguardo a tale epiteto la Chiesa spiega che si tratta di «un’immagine marziale applicata a Dio per celebrare la trascendenza e la signoria cosmica»[1]; un gioco di parole per accordare la consolidata idea di Dio con la natura di Yahweh, amato dal popolo eletto in virtù della sua forza nell’annientare i nemici di Israele.

A prova di ciò vi è il contesto storico: Canaan, la terra promessa da Dio al popolo di Israele dopo la “fuga” dall’Egitto, era da tempo occupata da popolazioni organizzate in fiorenti città-stato; nel Deuteronomio Yahweh parla chiaro, la Terra Promessa, sebbene data in eredità a Giacobbe, va conquistata. Ed è proprio questa l’essenza ultima del titolo “Yahweh dio della guerra”, poiché il nucleo delle vicende dell’Antico Testamento è principalmente bellico.




Le popolazioni stanziate nella Terra Promessa devono essere sterminate e ridotte in schiavitù; non si può venire a patti con i nemici, né concedere la grazia. La cultura idolatra dei Cananei, che adorano El, Ba’al, Dagon, Mot, Anat, va annientata e per questo Yahweh ordina che siano demoliti gli altari, spezzati i cippi, dati alle fiamme gli idoli e uccisi gli idolatri. Oltre a ciò, anche il popolo va annientato.

Così dispone Yahweh:


«Nelle città di questi popoli che il Signore, il tuo Dio, ti dà come eredità, non conserverai in vita nulla che respiri»[2].

Oppure:


«[…] colpirai a fil di spada tutti i maschi, ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda»[3].

È bene tenere a mente una cosa: Yahweh è il riflesso della mentalità delle tribù di Israele, fatte da «beduini razziatori, che si spostavano continuamente verso la costa, in cerca di territori su cui potersi fermare e in aspra lotta con le genti che già in precedenza si erano fissate sugli stessi luoghi, per esercitarvi l’agricoltura e forme più evolute di allevamento del bestiame»[4].


La barbarie consumata rispecchia il contesto violento in cui si svilupparono alcuni degli imperi più potenti della storia: i Sumeri (2550 circa a.C.), gli Accadi (235-215 a.C.); i Gutei e gli Amorriti; gli Assiri e i Babilonesi, gli Ittiti, gli Egizi. Un’area, per così dire, calda in cui le tribù d’Israele, per sopravvivere e affermarsi, potevano contare solo sulla loro capacità bellica. Per questo adoravano Yahweh, un dio guerriero che prometteva terra e ricchezza.



Attorno ai fuochi, nel freddo della notte, i racconti epici di come Yahweh avesse creato il mondo, plasmato l’uomo e la donna, spartito le nazioni e promesso una terra di latte e miele al suo popolo, scaldavano i cuori degli uomini; e mentre affilavano le armi, non dubitavano che Dio sarebbe stato scudo e spada di Israele[5] e ogni guerra sarebbe stata vittoriosa.


Yahweh incarna l’indole del popolo che lo adora e che lo antropomorfizza: si siede sotto le querce di Mamre e mangia un pasto caldo, sul Sinai banchetta insieme a settantatré anziani di Israele; soprattutto è vendicativo, geloso e brutale. A tratti anche infantile, poiché insofferente innanzi alla potenza degli altri grandi dèi. Yahweh, il Dio onnisciente e onnipotente, si offende per le attenzioni riconosciute ai rivali, «nasconde il suo volto»[7] come farebbe un bambino imbronciato e poi promette una pioggia di castighi:


«Accumulerò sopra di loro i malanni; le mie frecce esaurirò contro di loro. Saranno estenuati dalla fame, divorati dalla febbre e da peste dolorosa. Il dente delle belve manderò contro di loro, con il veleno dei rettili che strisciano nella polvere. Di fuori la spada li priverà dei figli, dentro le case li ucciderà lo spavento. Periranno insieme il giovane e la vergine, il lattante e l’uomo canuto»[8].

E gli Israeliti si lamentano:


«Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza»[9].

Il livore contenuto in queste parole non appartiene, secondo il mio pensiero, a un Essere Superiore e metafisico, ma all’animo umano, per natura spesso avido e meschino.


Come mai Yahweh aveva tanta concorrenza? Gli Israeliti erano politeisti?


In effetti nelle tribù di Israele erano ancora vive tradizioni politeistiche in cui si adoravano divinità antiche, quali El, Dagon, Astarte o Baal e proprio quest’ultimo, come spiegheremo più avanti, riscosse un particolare successo; ciò aiuta a comprendere perché l’affermazione del monoteismo di Yahweh sia stato difficoltoso. E per questo molti passi biblici riportano i continui lamenti di Yahweh verso il suo popolo, che lo tradisce, che adora altre divinità a cui offre libagioni e incensi.

Così ammonisce Yahweh gli Israeliti: «Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso»[10] e poi minaccia di sterminarli[11].


Paradossalmente ciò che più di tutto aiutò il successo di Yahweh come unico Dio fu la sua sconfitta. Infatti, dopo che i regni di Israele e Giuda furono travolti dagli Assiri e dai Babilonesi, avvenne il processo di ripensamento della storia di Israele: cosa era successo? Perché Israele era stato sconfitto, umiliato e deportato? Perché Yahweh non era intervenuto? Come evitare che ciò si ripetesse?

I redattori biblici, molto probabilmente a partire dal VI sec. a.C., ripresero la massa di racconti tramandati oralmente e trascritti in modo casuale, per riorganizzarla secondo motivi politici e teologici, e non con lo scopo di fornire una fonte storiografica. Il nome di Yahweh doveva legare la storia di Israele ed emergere come l’Unico Dio.


E così iniziano le incongruenze che caratterizzano tutto il testo biblico, che non è un documento unitario ma un insieme di più fonti, cicli narrativi e leggende alla cui base vi sono importanti contaminazioni culturali dei popoli circostanti. È il caso del Libro della Genesi, che tanto deve ai miti delle origini di tradizione mesopotamica e in parte anche egizia. Così, ad esempio, la figura di Noè e il tragico evento del diluvio universale derivano da affini miti sumeri, accadici e babilonesi in cui l’eroe si chiamava Ziusudra, Atraḫasis o Utanapištim.


Il culto di Yahweh non è antico come si crede, ma risale all’età del ferro e non era esclusivista, pertanto condivideva gli altari con altre divinità siro-palestinesi; come detto, fu solo dopo l’esilio babilonese che egli divenne il dio unico degli Israeliti. Le sue origini restano oscure e, se per lungo tempo gli studi hanno sostenuto la sua appartenenza al pantheon cananeo, oggi si ritiene più probabile che Yahweh derivi da un culto nato fuori da Israele, forse nella regione di Madian[12].


Probabilmente il sincretismo operato dalle tribù di Israele, stratificato nel tempo, ha miscelato tanti e vari elementi divini: nel dio degli Israeliti sono infatti confluite ad esempio caratteristiche di El e di Baal di cui è stato assorbito soprattutto l’aspetto bellico:


«nella Storia fenicia, scritta nel VI secolo a.C. da Sanchuniathon El viene descritto come un dio guerriero capace di imporsi in modo assoluto su tutte le altre divinità. Invece nei numerosi testi cultuali e rituali composti intorno al XIII secolo a.C. e provenienti dalla città siriana di Ugarit, il dio El, pur mantenendo ancora epiteti quali “creatore delle creature”, “re” e “padre”, sembra svolgere piuttosto un ruolo di secondo piano, mentre la figura del dio guerriero per eccellenza viene incarnata da Baal»[13].



La religione dei Cananei risulta pertanto fondamentale nel processo di formazione cultuale degli Israeliti i quali, anche se già avevano abbozzato il loro dio Yahweh, ne arricchirono il profilo caratteriale e simbolico, attingendo a divinità più antiche e diffuse nel territorio in cui si erano stanziati.

I testi di Ugarit rappresentano la fonte meglio documentata della religione cananea, sviluppatasi nel II millennio a.C., la quale menziona una lista canonica di dèi in cui troviamo El (associato al toro, benigno, numinoso e saggio) e Baal (il potere divino immanente al mondo che mette in movimento le imprese o i fenomeni[14]) a cui si aggiungono Dagon, Athirat (Asherah), Anat e altri. Non è un caso che molti dèi di Ugarti siano citati nell’Antico Testamento. Proprio la presenza di Baal vi è ampiamente documentata e i riferimenti al dio sono 58 volte al singolare e 19 volte al plurale. Come riportato dagli antichi testi di Ugarit, Baal, il Signore, era un epiteto che identificava una grande divinità cosmica, pertanto le epifanie descritte nella Bibbia sarebbero manifestazioni locali e diversificate della divinità. E, infatti, il testo biblico riporta il nome Baal connesso a diversi luoghi. Ad esempio: Baal-Gad[15], Baal-Ermon[16], Baalà-Giuda[17], Baal-Perasim[18], Baal-Tamar[19], Baal-Peor[20]Baal-Sefon[21], ecc. Tali divinità trovano conferma anche in fonti extra bibliche come Baal-Sefon, dio del monte omonimo in Siria, spesso citato nel testi ugaritici[22].


Non vi è dubbio che il culto di Baal fosse molto diffuso e praticato, oltre che dai Cananei anche dagli Israeliti. Quando si legge l’Antico Testamento diventa chiaro che Baal rappresentasse la minaccia più grande e duratura allo sviluppo esclusivo del culto di Yahweh. Il fatto è che quando gli Israeliti si stabilirono tra i Cananei entrarono in contatto con i culti locali tra cui spiccava quello per Baal, ritenuto fondamentale in quanto egli donava floridezza e fertilità al territorio con la pioggia da lui mandata. Senza la sua amorevole cura, la terra sarebbe inaridita e morta, e con essa ogni città e villaggio. Ciò aiuta a comprendere il favore incontrato da Baal anche presso gli Israeliti che dovevano vivere dei frutti della terra di Canaan.



Sin dall’ingresso in Canaan fino alla caduta della monarchia, vi furono da parte del popolo d’Israele atti di devozione dei confronti del culto di Baal. Di ciò sono una prova la costruzione di altari in suo onore e anche i molti nomi teofori come Ierub-Baal[23], Is-Baal, figlio di Saul[24], Merib-Baal, figlio di Gionata[25], Baal-Cana, figlio di Acbor[26]. Poi vi sono le menzioni del nome Baal al di fuori della Bibbia e riferiti a singoli individui, come rivenuto su alcuni ostraca del IX secolo a.C. in Samaria[27]. Successivamente qualcosa cambiò. L’idolatria verso Baal e gli altri dèi andava estirpata con ogni mezzo.


Questo è solo l'inizio.

Per approfondire






[1] Giovanni Ravasi, teologo e biblista, in Dio degli eserciti«Avvenire», 23 gennaio 2003. [2] Dt 2, 16. [3] Dt 20, 13-14. [4] A. Donini, Breve storia delle religioni, Tascabili Newton, Roma 2010, p. 149. [5] Dt 33, 29. [6] «Archeo monografie», La guerra nel mondo antico, n° 9, ottobre 2015. [7] Dt 32, 20. [8] Dt 32, 23-25. [9] Sal 80, 6. [10] Es 34, 14. [11] Es 33, 5. [12] J. Day, Yahweh and the gods and goddess, Sheffield Academic Press, London 2002, p. 15. [13] M. Eliade, Dizionario degli dei. Mediterraneo-Eurasia-Estremo Oriente, Jaca Book, Milano, 2019, p. 216. [14] M. Eliade, Enciclopedia delle religioni, Vol. 11, Religioni del Mediterraneo e del Vicino Oriente antico, Jaca Book, Milano, 2002, p. 65. [15] Gios 11, 17; 12, 7; Gs 13, 5. [16] Gdc 3, 3; 1Cr 5, 23. [17] 2 Sam 6, 2. [18] 2 Sam 5, 20; 1Cr 14, 11. [19] Gdc 20, 33. [20] Nm 25, 3; Dt 4, 3; Sal 106, 28; Os 9, 10. [21] Es 14, 2-9. [22] J. Day, Yahweh and the gods and the goddess of Canaan, Sheffield Academic Press, London, 2002, p. 69. [23] Gdc 6, 32. [24] 2 Sam 2, 8. [25] 2 Sam 4, 4. [26] 1 Cr 1, 49. [27] J. Day, op. cit., p. 72.

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