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Iside, Lilith e Maria – ribellione e sottomissione.

Le donne divine che hanno cambiato il mito


Tre volti, un solo archetipo. Iside, Lilith e Maria: la Dea, la Ribelle e la Madre. Unite nella loro diversità, incarnano il potere sacro del femminile eterno.
Tre volti, un solo archetipo. Iside, Lilith e Maria: la Dea, la Ribelle e la Madre. Unite nella loro diversità, incarnano il potere sacro del femminile eterno.

Chi ha detto che il potere sia soltanto un affare maschile? Nell’ombra dei miti antichi, tra testi religiosi, tavole incise e tradizioni orali, esistono tre figure femminili che sfidano il silenzio millenario imposto al sacro femminino: Iside, Lilith e Maria. Apparentemente distanti – una dea egizia, una ribelle mesopotamica e la madre del Cristo – ma unite da un filo invisibile: sono donne che, ciascuna a suo modo, hanno incarnato la potenza, la trasgressione e la rinascita.


Iside – La Madre Sapiente e la Magia della Vita

Iside, la grande dea dell’Egitto antico, è la Signora della Vita e della Morte, della Natura e della Magia. Sorella e sposa di Osiride, madre di Horus, è colei che ricompone il corpo smembrato del dio morto per generare il figlio destinato a vendicarlo. Ma Iside non è solo moglie e madre. È maga sapiente, custode dei segreti della creazione, padrona della parola che guarisce e del rituale che trasforma.

Nel mito, Iside viaggia, combatte, piange e guarisce. È una dea in cammino, non una figura statica: agisce, guida, protegge. Incarna il potere femminile che non obbedisce passivamente ma che trasforma la realtà con intelligenza e tenacia. Come evidenzia Higgins nel suo studio Divine Mothers, Iside divenne nel periodo ellenistico-romano un simbolo universale di maternità spirituale, amata anche fuori dall’Egitto, in un culto che si fondeva con quello di altre madri divine.

La sua immagine – spesso raffigurata mentre allatta il piccolo Horus – divenne uno dei modelli archetipici più potenti della maternità divina.

L’iconografia di Iside lactans, cioè nell’atto di allattare, si diffuse in tutto il Mediterraneo e venne successivamente adattata nella rappresentazione della Vergine Maria col Bambino. Non è un caso che Iside sia raffigurata con un trono sul capo: è lei che legittima il potere del figlio, lo nutre e lo guida.



Iside, la dea che ricompone, risana, allatta e protegge. Madre, sorella, maga e regina del cielo, è la custode dei segreti della rinascita. Nel suo sguardo vive il mistero del femminile divino, tra amore e potere
Iside, la dea che ricompone, risana, allatta e protegge. Madre, sorella, maga e regina del cielo, è la custode dei segreti della rinascita. Nel suo sguardo vive il mistero del femminile divino, tra amore e potere.

Iside – La Madre Sapiente e la Magia della Vita

Iside, la grande dea dell’Egitto antico, è la Signora della Vita e della Morte, della Natura e della Magia. Sorella e sposa di Osiride, madre di Horus, è colei che ricompone il corpo smembrato del dio morto per generare il figlio destinato a vendicarlo. Ma Iside non è solo moglie e madre.

È maga sapiente, custode dei segreti della creazione, padrona della parola che guarisce e del rituale che trasforma.

Nel mito, Iside viaggia, combatte, piange e guarisce. È una dea in cammino, non una figura statica: agisce, guida, protegge. Incarna il potere femminile che non obbedisce passivamente ma che trasforma la realtà con intelligenza e tenacia. Come evidenzia Higgins nel suo studio Divine Mothers, Iside divenne nel periodo ellenistico-romano un simbolo universale di maternità spirituale, amata anche fuori dall’Egitto, in un culto che si fondeva con quello di altre madri divine.


Secondo le fonti egizie più antiche, Iside compare con sicurezza nei Testi delle Piramidi della V dinastia, agendo insieme alla sorella Nephthys. Le due dee vegliano sul defunto, lo cercano, lo piangono, lo ricompongono. Iside lo nutre, Nephthys lo protegge.

Sono le archetipe donne del lutto sacro: sacerdotesse e madri che restituiscono integrità e identità al morto, affinché possa rinascere

Le loro azioni includono: cercare e trovare il defunto (PT §1255a–1256b), accoglierlo (PT 553, §1362a), parlargli e chiamarlo (PT 422, §755a), piangere e urlare il suo nome (PT 535, §1281a), sedersi accanto a lui (PT 356, §577a), ricomporlo (PT 364, §610c) e nutrirlo: “Iside mi allatta, Nephthys mi nutre” (PT 268, §371c). Nel rituale funerario, esse lo resuscitano, lo rendono integro, e gli restituiscono la vita.

In alcune formule, le sorelle riportano al defunto il cuore (Iside in PT 595, §1690b–c; Nephthys in PT 628, §1768a–b), inteso come sede della coscienza e principio vitale. Infine, preparano il corpo per il sepolcro, purificandolo e ricomponendolo: "Iside versa una libagione, Nephthys ti purifica" (PT 670, §§1981a–1982a).

Talvolta appaiono come uccelli: il falco e la sterna, il ḏrt e il ḥt, simboli del loro pianto e della loro ricerca. Cercano Osiride trasformate in uccelli rapaci: "È venuta la stridula, è venuto il nibbio: è Iside e Nephthys" (PT 535, §1280a). Gli egittologi hanno identificato questi volatili come il gheppio (Falco tinnunculus) e la sterna, uccelli che cercavano cibo in terra e in acqua – così come le dee cercavano il corpo sparso del dio tra terra e Nilo.


Il mito completo appare solo in età greco-romana con Plutarco, ma già nei testi egizi Iside e Nephthys si mostrano come dee dell’azione rituale: accompagnano il morto, lo accolgono, gridano il suo nome, ne asciugano le ferite, lo resuscitano.

E quando Osiride risorge, Iside diventa madre: allatta Horus, lo nasconde, lo educa, e infine gli trasmette il trono.

In epoca romana, Iside si emancipa dal contesto funerario e diventa una dea cosmica. Scrive R.E. Witt:

“All’inizio, c’era Iside. Antichissima, fu la dea da cui tutto il Divenire ebbe origine. Grande Signora – Padrona delle Due Terre d’Egitto, del Cielo, della Casa della Vita, della Parola divina. Unica. In tutte le sue grandi e meravigliose opere, fu una maga più saggia e più eccellente di ogni altro dio.”

 

Lilith – La Donna Indomita, esiliata per aver detto "no"

Lilith è una figura arcaica e sfuggente, nata nella Mesopotamia antica con il nome di Lilitu. Era uno spirito del vento e della notte, associato a malattie, tempeste e sessualità incontrollata. Compare in testi sumerici, accadici e babilonesi come demone notturno, associata alla sterilità, alla febbre e al caos. Nell’epopea di Gilgamesh è descritta come una creatura urlante che abita l’albero sacro; in altri testi è una prostituta sacra al servizio della dea Inanna-Ishtar.

In alcune fonti è succube, in altre è una figura vampirica, capace di sedurre e prosciugare la vita degli uomini, ma non di generare. Questa molteplicità di ruoli dimostra che Lilith è un archetipo complesso e frammentato: la donna fuori controllo, la femminilità che sfugge alla norma. Rappresenta un femminile non domestico, erotico, autonomo – e proprio per questo temuto.

Nel libro di Isaia (34,14), Lilith appare come "screech owl" o, nella versione Darby, viene chiamata esplicitamente per nome. Il passo descrive un paesaggio desolato in cui si radunano creature mostruose: un’allusione simbolica alla sua dimora infernale.


Ma è nell’Alfabeto di Ben Sira, testo ebraico medievale, che Lilith assume un’identità precisa:

prima moglie di Adamo, creata dalla stessa terra, rifiuta la sottomissione sessuale e fugge pronunciando il Nome Ineffabile. Tre angeli la inseguono, ma lei rifiuta di tornare. Da allora diventa madre di demoni, uccide neonati, seduce uomini, e solo amuleti con i nomi angelici possono fermarla.

Fugge dall’Eden, rifiuta la sottomissione e diventa, nel mito successivo, un demone notturno, madre di mostri e causa delle paure maschili (lei non accetta di stare sotto di lui durante l’unione, allegoria di sottomissione totalte, né di essere subordinata in alcun senso).


Lilith appare anche nel Talmud e nella Kabbalah, dove è consorte di Samael, regina e madre dei demoni, e una delle Quattro Regine della Lussuria insieme a Naamah, Eisheth e Agrat Bat Mahlat.

In molte culture è sopravvissuta sotto altri nomi: Lamia in Grecia, che divorava bambini e fu amante di Zeus; Empusa, figlia di Ecate e Mormo, seduttrice e vampira; Libitina nella Roma arcaica, dea della morte. In Bulgaria è una creatura che abita le grotte, in Turchia è un demone febbrile, in Giappone è la Hone-onna, scheletro femminile camuffato da bellezza


Lilith è la ribelle per eccellenza: esiliata dal paradiso, trasfigurata in simbolo di pericolo, ma anche di autonomia. È il lato oscuro della femminilità che non si piega, l’archetipo della donna che rifiuta ruoli imposti.  

Rappresenta la femminilità che minaccia l’ordine patriarcale, e proprio per questo è stata demonizzata e rimossa dalla narrazione ufficiale delle origini. Eppure, la sua sopravvivenza nel folklore e la sua recente rivalutazione la rendono una figura potente, tanto temuta quanto necessaria.

Nel racconto tedesco La regina di Saba, Lilith appare come amante segreta e madre vendicativa.


E' tuttora presenta nella cultura pop da Stardust a Pan’s Labyrinth, dai fumetti ai videogiochi. È ovunque ci sia una donna troppo libera, troppo sensuale, troppo pericolosa per essere domata.

Il femminismo contemporaneo l’ha eletta a simbolo della ribellione, e non a caso la rivista femminista ebraica più nota si chiama Lilith.

È ovunque vi sia un’eco del potere femminile proibito.


Nel saggio accademico di Tracey Louise Smith, Lilith viene ulteriormente analizzata come figura liminale e archetipica: né completamente umana né interamente divina, Lilith incarna il potenziale destabilizzante della donna che si autodetermina. Non è solo simbolo di ribellione, ma anche di conoscenza, di sessualità autonoma, e di resistenza alla cancellazione simbolica. Il suo esilio non è solo geografico, ma cosmico: un allontanamento da un ordine che non può contenerla, e proprio per questo la rende immortale nei racconti, nei sogni e nelle battaglie moderne per la libertà femminile.


Lei è il simbolo del femminile escluso, scomodo, ma impossibile da cancellare.

Rappresenta il desiderio e la paura, la conoscenza e la vendetta, l’autonomia e la trasgressione.

È l’archetipo di chi osa uscire dal giardino per entrare nella notte. 

Oggi Lilith è simbolo femminista: la donna che rifiuta la sottomissione, che rivendica il proprio corpo, il proprio desiderio, il proprio destino. Da creatura demonizzata diventa icona di libertà. Lilith è stata cancellata, fraintesa e riscritta – ma mai dimenticata. È continua ad essere la patrona delle ribelli, delle outsider, delle donne che scelgono se stesse.

 

Maria – La Madre Purissima, ma anche la Regina Celeste

Maria, la madre di Gesù, è spesso vista solo come simbolo di umiltà, obbedienza e castità. Ma dietro questa immagine si cela un archetipo più complesso e potente. Nelle devozioni popolari e nella teologia più profonda, Maria è anche Regina del Cielo, Stella del Mare, Porta del Cielo, Madre della Misericordia. È colei che intercede, consola, protegge. È una mediatrice tra umano e divino.

Come Iside, è madre di un figlio destinato a morire e risorgere. Come Lilith, è figura ambivalente, spesso contesa tra potere e umiltà. Secondo Higgins, l'elevazione di Maria nella Chiesa – in particolare dopo il Concilio di Efeso (431 d.C.), che la proclamò Theotokos, "Madre di Dio" – ha dato alla figura femminile un ruolo centrale nel cristianesimo. Ma questa centralità non ha cancellato le sue radici archetipiche più antiche, che la legano a Iside e ad altre madri sacre del Mediterraneo e del Vicino Oriente.


In Maria si compie una trasfigurazione: la dea diventa madre, la madre diventa interceditrice. E proprio nel suo essere ponte tra il terreno e il divino, Maria assume una funzione simbolica profonda e universale. l motivo iconografico della Maria lactans – Maria che allatta il Bambino – è un chiaro esempio di come l’immaginario cristiano abbia ereditato (e rielaborato) elementi propri del culto isiaco. Tuttavia, come sottolinea l’egittologa Françoise Dunand, l’immagine della madre che allatta non è esclusiva né di Maria né di Iside: compare già nel Neolitico e in molte culture antiche. E lo stesso tipo lactans era già attestato anche nella raffigurazione della dea Mut in Egitto.


Secondo Dunand, il culto mariano avrebbe potuto assorbire questa iconografia perché l’immaginario collettivo del tempo era ancora profondamente permeato dalla figura di Iside. Un riuso culturale, dunque, che potrebbe suggerire una continuità simbolica, se non un vero sincretismo.

Ma non tutti concordano. I mariologi, ad esempio, tendono a rifiutare l’idea di una filiazione diretta tra Iside e Maria, sottolineando che le due figure non agiscono nello stesso modo e non hanno la stessa origine teologica. La storica Averil Cameron propone un’altra lettura: non sincretismo, ma competizione tra culti. La somiglianza tra Maria e Iside sarebbe stata un espediente per attrarre i fedeli di religioni più antiche, ma il contenuto simbolico e dottrinale sarebbe del tutto cristiano.


Anche lo studioso McGuckin afferma che molte rappresentazioni di Maria – come quella dell’allattamento – furono comprese dai cristiani nel proprio linguaggio culturale, senza intenzione di replicare un culto precedente. Secondo lui, certe somiglianze erano casuali, mentre altre furono selezionate consapevolmente per creare familiarità con l’immaginario pagano, ma senza implicare un vero sincretismo.


Altri studiosi, come Corrington e Bolman, hanno cercato un equilibrio tra arte e teologia, interpretando la Maria lactans non come mera copia di Iside, ma come immagine profondamente cristologica. Il latte di Maria – pur essendo vergine, quindi priva di “latte umano” – diventa simbolo eucaristico: un alimento divino che rafforza la natura divina di Cristo.

 

Tre volti, un archetipo

Iside, Lilith e Maria rappresentano diversi aspetti della stessa energia primordiale: la forza creatrice, la libertà indomita, la sacralità mediatrice. Sono dee, demoni e sante, ma prima di tutto sono simboli vivi, archetipi potenti che parlano a tutte le epoche. E oggi più che mai, in un mondo che cerca nuovi equilibri tra maschile e femminile, queste tre figure risuonano con forza.

Non sono solo personaggi mitici o religiosi. Sono specchi. In loro vediamo la parte più profonda di noi: quella che crea, che osa, che protegge. Quella che ama, combatte, e rinasce.

A ciascuna, dunque, la sua.

Riscoprirle non è solo un atto culturale. È un gesto rivoluzionario.


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