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La magia degli antichi Egizi


«Sono un heka e diffondo la Maat».

Con parole simili si presentava il mago nell’Antico Egitto. Nessun fattucchiere, cartomante o indovino armato di bacchetta magica, ma un duttile studioso che ave


va passato anni a studiare la sacra lingua e le diverse branche del sapere.


Nella terra dei faraoni al tempo dei grandi iniziati, quali Imhotep, magia, scienza e conoscenza erano aspetti complementari. Per definizione, il mago era un sapiente. Infatti praticare la magia significava essere edotti dei misteri dell’Universo, conoscerne le Leggi e rispettarne l’Equilibrio. Il mago era in primo luogo uno scienziato e lo scienziato doveva necessariamente essere

sapiente. Secondo il pensiero egizio, il successo nella vita ultraterrena si raggiungeva con la sapienza e non con la fede.


«Conoscere, non credere», era la massima fondamentale di ogni aspirante mago.

Ogni aspetto della vita terrena, secondo gli Egizi, infatti era intriso di una forza invisibile ed immanente, che tutto animava e che aveva avuto origine prima della Creazione.

L’essenza di questa forza, luminosa e divina, era un’emanazione diretta della Legge Cosmica, la MAAT. La piuma della giustizia e dell’equilibrio cosmico si manifestava anche attraverso l’uso saggio della magia, la quale doveva essere praticata secondo i principi di armonia ed equità. La Maat era tutto, e tutto era intessuto di Maat, poiché essa era di pura fibra luminosa.


Comprendere la magia significava conoscere se stessi e agire consapevolmente sui vari piani dell’esistenza individuale, collettiva e ultraterrena.


Il primo mago in Egitto era il faraone.

Egli in qualità di Horus vivente aveva il dovere di esercitare la magia di Stato per garantire il benessere del regno. Ad esempio, in occasione della piena stagionale del Nilo, il faraone si recava sulle acque fertili e recitava un inno propiziatore in onore del dio del fiume, così da assicurare una piena giusta e ricca, né troppo esuberante, né troppo scarsa.


La magia si apprendeva attraverso lo studio attento in primis della lingua geroglifica e poi con i testi di matematica, astronomia, astrologia, letteratura ecc. Tale attenta preparazione avveniva nel corso di molti anni di studio presso la Case della Vita, la biblioteca sacra connessa ai templi egizi, dove veniva educata solo l'élite.

Qui si costudiva e tramandavano i Saperi che davano fondamento alla vita, in nome di Maat e intrisi Luce.

Esisteva anche la magia da strada, popolare e non iniziata che, come oggi, accontentava i bisogni del popolino, ossia quegli espedienti magici per far innamorare, guarire, maledire, arricchirsi ecc. Inutile dire che non servissero, poiché quella non era vera magia egizia.




Qual era la “bacchetta magica” del mago egizio con cui agiva sul piano reale e metafisico?

I geroglifici, le "parole del dio" o in medio egizio "Medu Necer"


Attraverso la parola incisa e pronunciata ad alta voce si compiva l’atto che attiva gli incantesimi: con le parole giuste, pronunciate da chi sapeva ed era consapevole si potevano sconfiggere le malattie, aiutare il defunto nel suo viaggio ultraterreno, rendere inoffensivi gli animali pericolosi.


Frequenti e utili per l’azione magica erano anche gli amuleti, di cui se ne sono trovati migliaia e tuttora molto noti e diffusi in svariate riproduzioni come: l'Occhio di Horus, il cuore, il pilastro Djed, la chiave della vita o Ankh, lo scarabeo, solo per citarne alcuni.

Gli amuleti, una volta indossati, garantivano in questa e nell'altra vita la loro azione magica. Proprio durante l’opera di imbalsamazione, nella fase del bendaggio, innumerevoli amuleti e talismani veniva inseriti tra uno strato e l’altro, affinché aiutassero il defunto.


Come disse Champollion, la lingua sacra era un’autentica creazione che univa «la coscienza umana alla Regola divina, ossia Maat».

Grazie “ai suoi poteri”, il mago, spesso sacerdote, astronomo, matematico architetto e medico, affiancava il faraone nella comunicazione con gli dèi, nella divinazione, nelle grandi cerimonie religiose e nella fondazione di un nuovo tempio o palazzo, poiché egli poteva individuare il luogo energeticamente più adatto.


Per essere un buon mago si tenga a mente la massima del faraone mago Merikara: «Le parole sono più efficaci di qualsiasi forma di combattimento».


In ogni aspetto della magia nell’antico Egitto uno solo comunque era l’elemento dominante: la luce. Essa infatti, insieme alla scienza era manifestazione spirituale e visibile della presenza numinosa. La luce si propagava per tutta la terra di Kemet grazie Sole che, con i suoi raggi vivificanti e pervadenti in ogni sostanza, univa il piano terreno a quello celeste.


Conoscere la Luce era la scienza fondamentale di ogni heka, poiché la luce aveva in sé ogni cosa.

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