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La dea dell'oppio

Il potere evocativo-allucinogeno dei petali e semi di papavero era noto alle popolazioni del Mediterraneo, che lo utilizzavano per scopi terapeutici e religiosi.


La particolare postura delle braccia e il copricapo decorato con fiori di papaveri  rivelano  la sacralità della figura

Più di 3000 anni fa a Creta, durante la civiltà minoica, nel delicato periodo post-palaziale (1300-1100 a.C.) si afferma la rappresentazione della Dea con le braccia alzate. Solenne e rassicurante, sembra che sia la raffigurazione più frequente, come se in quel particolare momento si sentisse il bisogno di una maggior contatto o invocazione del divino. Nei santuari più piccoli come in quello sontuoso e maestoso di Cnosso, c'è Lei, spesso attorniata dalle statuette di sacerdotesse-adoratrici.


In generale, la composizione prevedeva la dea posta al centro della composizione con le braccia sollevate e sulla testa alcuni uccelli. Quest'ultimi erano una sorta di epifania del divino che univa la dea e i suoi adoratori. Lei avrebbe rivelato e svelato, curato e supportato coloro che la pregavano e onoravano.

Questo era il patto.


Lentamente, il ruolo della Dea diviene più preponderante. Gli occhi sono tutti per lei.

I siti di Gazi e Karfi hanno restituito molte raffigurazione di dimensioni maggiori, rispetto alle precedenti, e senza elementi collaterali come gli adoratori. Questo perché ha acquisito un'importanza tale da non necessitare più di figure secondarie.


Immensa, astratta ma anche antropomorfa, la figura della Dea in primo piano esprimeva tutta la sua potenza e il suo essere detentrice dei segreti della vita e della morte.


ogni immagine racchiude un aspetto del principio creatore magico, naturale

Tra esse troviamo la Dea dei papaveri con le braccia levate e i palmi aperti, volti a dare e ricevere.

Questa particolare postura, ben diffusa in tutte le culture, dagli Egizi ai Camuni, e nota con la dicitura "dell'orante" simboleggiava il tentativo di avvicinarsi ai misteri del cielo, metafora degli dèi e in questo caso della dea.

Sulla testa spiccano fiori di papavero da cui si ricava l'oppio usato per alleviare il dolore ma anche per le sue proprietà allucinogene.

La posizione e il particolare copricapo comunicavano che la dea proteggeva dal dolore, dalle malattie ma, allo stesso tempo, poteva indurre visioni profetiche, mettendo in comunicazione con il mondo divino.


Chissà, forse l'oppio, come nei rituali misterici di Eleusi, offriva rivelazioni necessarie per intraprendere un percorso iniziatico, spronando donne e uomini alla saggia comunione tra piano umano e divino.



le proprietà curative e divinatorie della pianta erano note fin da tempi remoti

Ogni simbolo, animale o vegetale, esprime dunque l'esigenza della trascendenza e del relativo contatto con essa.

L'umanità, fragile e vulnerabile, cerca conforto e soprattutto senso al proprio esistere specchiandosi nella volta celeste, pupilla spalancata sull'ignoto. Pur restando intellegibile e irraggiungibile, la dimensione trascende divine rivelazione nei segni e nelle visioni che vengono non "tradotti" dal raziocinio ma resi simboli del linguaggio arcano del numinoso.

A Creta, come in ogni altra cultura, l'atto immaginifico si veste di sacro.

La Dea è uno di questi aspetti del sacro-immaginifico, consolatorio e rivelatori, magico e metafisico.

Secondo alcuni studiosi, la dea è la prima divinità dalle sembianze umanoidi e per questo si può far risalire al Neolitico l'esistenza di una religione.

In effetti le raffigurazioni di idoli femminili spopolarono per tutto il Mediterraneo, a partire dal VII millennio a.C. Realizzate in osso, pietra o argilla racchiudevano più del concetto puramente "procreatore", erano mitogrammi di tradizioni ancestrali, risalenti al Paleolitico.

Come precisa Julien Ries,

le maschere, i simboli e gli ideogrammi sono indizi della presenza di riti e perciò di un autentico culto della dea. Le statuette di personaggi adoranti (oranti) e le scene cultuali ne sono una conferma.

A Creta molte delle figurine sono state trovate all'interno delle tombe. A volte le statuine venivano rotte come parte del rituale di rigenerazione del defunto.


Il culto che abbraccia da numerosi millenni le culture de Mediterraneo (e oltre) è quello della vita, intrisa di ignoto e paura, speranza e trascendenza.


I palmi aperti e accoglienti si tendono verso l'infinito turchese, in infinita attesa.


Altri approfondimenti sono disponibili nel mio libro:


il libro esplora il culto ancestrale della Dea, che risale al Paleolitico. Questo culto, diffuso tra varie culture, vedeva la Dea come creatrice e portatrice di vita e morte, un’essenza immanente alla natura e al ciclo eterno di vita-morte-rinascita







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